Nella sua personale autodifesa Valentino Rossi ha spiegato che «probabilmente il fisco italiano non è d'accordo con quello di altri Paesi, come l'Inghilterra. Però la soluzione devono trovarla fra loro, senza prendersela con me».
Il tema delle doppie imposizioni è un tema fin troppo spinoso nei rapporti tra gli Stati che di regola "inseguono" fiscalmente i propri cittadini all'estero.
Il caso Valentino ruota interamente intorno alla questione residenza. Per quanto riguarda l'ordinamento italiano, la norma di riferimento è l'articolo 2, comma 2 del Tuir, per il quale la residenza fiscale è legata a tre criteri di collegamento, che sono fra loro alternativi, ovvero basta uno solo di essi per determinare l'attrazione a tassazione in Italia del reddito “mondiale” di una persona fisica. Se si tralascia il criterio formale dell'iscrizione anagrafica, emerge la centralità delle nozioni di domicilio e di residenza fornite dall'articolo 43 del Codice civile e cioè, rispettivamente, delle nozioni di «sede dei propri affari e interessi» e di «dimora abituale».
La disciplina è completata – nel caso Rossi – dalle previsioni della convenzione bilaterale Italia-Regno Unito ( legge 329/1990).L'articolo 4 detta le regole sul punto. E in esso sono previsti i criteri ( tiebreaker rules) ad applicazione successiva che sono utilizzabili se una persona fisica sia considerata residente in entrambi gli Stati contraenti. Conformemente al Modello Ocse, la verifica è incentrata prima sulla presenza di un'abitazione permanente in uno (solo) dei due Stati e, in subordine, sulla localizzazione delle «relazioni personali ed economiche» (il “centro degli interessi vitali”).Un ruolo ulteriormente subordinato è affidato al criterio del soggiorno abituale e della nazionalità.
Nell'ipotesi, marginale, in cui l'applicazione dei criteri dell'articolo 4 non conduca alla soluzione del caso di doppia residenza, è previsto che le autorità competenti degli Stati contraenti risolvano la questione di comune accordo. In realtà, l'articolo 26 della Convenzione fra Italia e Regno Unito sembra consentire una più ampia possibilità di ricorso alla cosiddetta “ procedura amichevole”,applicabile in tutti i casi in cui le misure adottate da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportino un'imposizione non conforme alle disposizioni convenzionali. E quindi l'invito di Rossi agli Stati a risolvere i loro dissidi sul punto potrebbe sottintendere la volontà di un ricorso di questo tipo.
Questa possibilità è del tutto indipendente dai ricorsi previsti dalla legislazione nazionale e, come precisa in più punti l'articolo 26, non obbliga gli Stati ad addivenire a una soluzione. Presupposto essenziale dell'applicabilità della convenzione è comunque la residenza in entrambi gli Stati contraenti.
Il caso Rossi però mette in luce come la stessa disciplina del Regno Unito, che esclude, di regola, la tassazione dei non domiciled per i redditi prodotti all'estero, potrebbe sollevare rilevanti questioni interpretative nei riguardi dell'articolo 4, par. 1, ultimo periodo della Convenzione in questione. La norma precisa infatti che la definizione di residente «non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato contraente soltanto per i redditi provenienti da fonti ivi situate».
In ogni caso, solo dopo aver inquadrato la lite nell'ambito della Convenzione sarà possibile passare alle scelte concrete: dal concordato all'acquiescenza, dal ricorso all'arbitrato.
Da Il Sole 24 Ore
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