L'Agenzia chiarisce la differenza tra opacità e trasparenza del trust, precisando che per essere «individuato» il beneficiario deve essere titolare di un diritto a pretendere dal trustee il reddito conseguito dal trust: deve avere una capacità contributiva effettiva ed attuale sul reddito conseguito dal trust. Se dall'atto di trust e' identificabile questo diritto allora opera la trasparenza fiscale altrimenti il trust viene tassato in proprio.
La circolare conferma che i redditi sottoposti a tassazione definitiva in capo al trust esauriscono ogni ulteriore adempimento tributario, sia in caso di trust opachi sia in caso di trust trasparenti. Tutti i regimi sostitutivi o definitivi tipici della fiscalità finanziaria (risparmio amministrato e gestito, in particolare) possono quindi essere utilizzati senza rischio di doppie imposizioni in strutture che prevedano un trust.
Sulla residenza del trust e le clausole antielusive operanti viene precisato che per luogo di istituzione del trust è da intendersi il luogo in cui formalmente il trust ha la residenza.
Inoltre viene precisato che la presunzione relativa di residenza fiscale in Italia per i trust istituiti in Paesi che non consentono lo scambio delle informazioni e che ricevono apporti immobiliari è relativa a immobili che in prevalenza sono ubicati in Italia, rispetto a quelli apportati e ubicati all'estero.
Lascia perplessi l'affermazione che la detenzione di immobili prevalentemente in Italia collochi l'oggetto principale del trust in Italia, a prescindere dalla presunzione sopra descritta Si paventa, inoltre, l'applicabilità della presunzione di esterovestizione prevista all'articolo 73, commi 5 bis e 5 ter. Si ritiene, in realtà, che essa possa operare solo quando la gestione di fatto del trust sia fatta da residenti, dato che l'ulteriore requisito che sia sottoposto a un «controllo» ai sensi dell'articolo 2359 è impossibile in un trust.
Per ciò che concerne l'apporto in trust di titoli partecipativi, la circolare chiarisce che il trustee deve acquisire questi titoli valorizzandoli fiscalmente all'ultimo costo fiscalmente riconosciuto in capo al disponente. Non appare invece convincente l'affermazione per cui l'intermediario che eventualmente detenesse questi titoli nell'ambito di un regime di risparmio amministrato debba valorizzare il trasferimento al valore corrente del titolo e non al costo fiscalmente riconosciuto in capo al disponente, trattandosi di trasferimento a dossier diversamente intestato. Infatti, l'articolo 6, comma 6 del decreto legislativo 461 del 1997 – richiamato nella circolare – non si applica quando il trasferimento avviene per «donazione» e la sottomissione dei beni al trust è soggetta, per la circolare stessa, a imposta di donazione.
Per ciò che concerne l'imposizione indiretta, è da notare che l'Agenzia inquadra il trust nella categoria dei vincoli di destinazione, costituiti da un rapporto giuridico complesso con un'unica causa fiduciaria, da cui consegue che lo strumento debba essere colpito da tassazione indiretta solo in sede di costituzione del vincolo e non anche in sede di distribuzione al beneficiario. È da notare il contrasto esistente tra la soluzione individuata dalla circolare in commento e quanto previsto nell'ultimo progetto di legge sul blind trust che prevede, nel caso in cui il fondo in trust a scadenza venga restituito al disponente, che nessuna imposizione diretta e indiretta deve essere operata. Al momento, invece, parrebbe dovuta comunque l'imposta di donazione. La sostanziale identità degli strumenti giuridici dovrebbe portare a medesimi trattamenti fiscali.
Tratto dal Sole 24 Ore
Paolo Ferretti Marco Piazza
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